Autore: Alain Abehsera, DO MD
Articolo pubblicato su www.osteopathie-france.net
Link all’articolo originale: https://www.osteopathie-france.net/etudiants/articles-cours/3152-physiologie-des-mouvements-tissulaires-dits-spontanes-ou-involontaires
Traduzione di: Andrea Gasperoni Ferri Osteopata DO

Un gran numero di osteopati praticano una forma di trattamento che consiste nel porre le mani sui loro pazienti, senza poi muoverle. Affermano di ascoltare. Quando gli si chiede che cosa ascoltano, nel loro gergo descrivono diversi tipi di percezione: dei movimenti di andata/ritono, dei movimenti asimmetrici, delle torsioni, una motilità spontanea o indotta dal pensiero dell’operatore ecc… Cosa ancora più curiosa, affermano di ascoltare ed allo stesso tempo trattare. Oltretutto senza muovere le mani in nessun modo… Nei precedenti tre articoli concernenti questo argomento abbiamo evocato le radici storiche di queste ‘percezioni’ ed ‘affermazioni’. Abbiamo anche proposto un’analisi dei meccanismi opercettivi dal punto di vista dell’osteopata: la fusione tra il tocco e lo sguardo, creando ciò che chiamiamo ‘visualizzazione’.

Nei due articoli che seguono ci porremo domande sulla questione del meccanismo dal punto di vista del paziente: quale fisiologia può spiegare questi movimenti spontanei? Una domanda difficile dato che l’esistenza oggettiva di questi movimenti è tutt’altro che unanime nel mondo osteopatico, ed anche al di fuori di esso.

Inoltre, supponendo di averli identificati, cosa comprendiamo del loro valore terapeutico e diagnostico?

L’autore, praticante regolare di queste tecniche, esamina qui le diverse possibilità di risposte. Non si tratta, intendiamoci bene, che di risposte parziali all’immensa questione su cosa sia il vivente. Risposte che cercano di ‘attenersi alla pratica’…

Questo articolo fa seguito ai tre precedenti pubblicati sul sito ‘www.osteopathie-france.net’ sulla percezione della mobilità e motilità in osteopatia:

Ascoltare è trattare

L’osteopatia craniale non è altro che un sapere fare. Possiede delle proprie spiegazioni fisiologiche ed una sua biomeccanica. Agli inizi, negli anni 70, quando si iniziava a sentir parlare di queste pratiche in Europa, questo campo veniva chiamato: ‘fare del craniale’. Più recentemente, probabilmente per evitare di rapportare questi movimenti detti ‘involontari’ unicamente al cranio ed al sacro, si sono diversificati i nomi in: approccio miofasciale o tissulare, ascolto, fasciale, biodinamica, ecc… Sono queste denominazioni che mostrano che vengono toccati tutti i tessuti del corpo ma uno in particolare, la fascia, dovuto alla sua ubiquità.

Uno dei tratti comuni a tutti questi approcci è che diagnosi e trattamento tendono a fondersi, a diventare uno. In effetti, secondo chi li pratica, percepire i movimenti profondi dei tessuti, senza interferire, è già trattare la persona.

Ascoltare è trattare, un po’ come avviene nella psicanalisi, dove anche lì si ascolta senza interferire con il discorso del paziente, e facendo ciò ci si prende già cura del paziente. Questa fusione tra diagnosi e trattamento distingue queste forme di osteopatia dai metodi cosiddetti ‘strutturali’ dove ci sono due tempi distinti: si fanno prima dei test di mobilità e poi, dopo una lettura attenta – la fase diagnostica – si effettua la manipolazione, che rappresenta il momento terapeutico. In più, durante la fase diagnostica come in quella terapeutica, il paziente e l’operatore, si muovono. All’esatto opposto, nell’osteopatia cosiddetta di ascolto, ogni istante della percezione dei movimenti tissulari agisce come un trattamento e, più spesso, né il paziente, né l’operatore effettuano alcun movimento.

L’operatore percepisce dei movimenti ma un osservatore esterno non vedrà alcun movimento della mano dell’operatore o dei tessuti del paziente. Tutto è nella sensazione, nel segreto di ciascuna delle parti implicate, paziente ed operatore.

Noi ci proponiamo in questo articolo di considerare i meccanismi fisiologici in gioco in questi movimenti. Queste spiegazioni mi sono servite come modello nella pratica, e continuano tutt’ora ad essermi utili. Li ho trovati utili dato che mi hanno permesso di unire ciò che abbiamo appreso dai libri con ciò che sentono le nostre mani o i nostri pazienti. Passeremo inizialmente attraverso il prisma della storia dell’osteopatia dato che le sorgenti storiche hanno giocato e continuano a giocare un ruolo fondamentale nella nostra arte. Poi ci occuperemo dei meccanismi fisiologici che possono spiegare: 1) l’esistenza di questi movimenti, 2) le loro caratteristiche nello spazio e nel tempo e, infine 3) il loro valore diagnostico e terapeutico.

La storia osteopatica dei movimenti spontanei dei tessuti

Nel passato possiamo distinguere due correnti principali nella spiegazione dell’ascolto tissulare. Continuano tutt’ora ad essere insegnati nelle nostre scuole, non senza ragione, ed è importante citarli.
La prima corrente, che chiameremo ‘meccanicista’, corrisponde agli scritti ed alle ricerche di WG Sutherland nella prima parte della sua vita professionale. È stato diffuso in seguito da osteopati come H. Magoun, B. Arbuckle o H. Lippincott. Occore citare anche i lavori meno conosciuti ma molto interessanti di Charlotte Weaver, allieva di Still, che estendeva le tecniche osteopatiche al cranio, considerando quest’ultimo come un gruppo di vertebre.

In queste correnti meccaniciste le tecniche privilegiano la ‘materia’ dei tessuti, solida o liquida, che si muovono sotto le mani o possono venire mossi dalle mani. Le spiegazioni che forniscono per questi movimenti sono diverse. Per H. Magoun i tessuti, in particolare quelli della sfera craniale, sono mossi da meccanismi fisiologici concreti, manifestati da ritmi nati da fluttuazioni’ del liquido cefalo-rachidiano, con effetti che si estendono per tutto il corpo. Beryl Arbuckle si è interessata sopratutto alla sfera craniale come ad un insieme di ossa articolate, mantenute assieme da fascicoli della dura-madre, della quale fornirà spiegazioni esaustive che non si trovano presso altri autori.

Attualmente il maggior numero di praticanti che sono seguiti a Magoun ed ai suoi allievi, crede nell’esistenza di movimenti spontanei nella sfera cranio-sacrale, una mobilità che chiamano MRP, o movimento respiratorio primario, il quale ha una frequenza dai 6 ai 12 cicli per minuto. Questi movimenti possono essere sentiti a livello del cranio e dell’osso sacro, ma anche dappertutto, cosa che pone, come vedremo in seguito, certi problemi di ordine fisiologico. Questa osteopatia craniale rimane abbastanza vicina alle sue radici strutturali, dato che si continua ad insegnare una sofisticata biomeccanica che descrive i movimenti complessi delle ossa de cranio e del bacino (torsione, strain, compressione, flessione laterale, ecc…). In più nell’osteopatia craniale classica, come nello ‘strutturale’, si continua ad osservare un tempo di separazione tra diagnosi e trattamento. L’operatore trova, ad esempio, una compressione della SSB (sincondrosi sfeno basilare), una torsione del sacro ecc.., ed una volta diagnosticata la tratta, verificando in seguito il risultato del trattamento. È di fatto conforme ad un approccio strutturale. In più l’osteopata cranio-sacrale ‘muove’ un po’ le sue mani, anche se non è molto visibile, ma nella sua spiegazione delle cose afferma di ‘mettere il temporale in rotazione’, ‘anteriorizzare il sacro’ ecc…, tutte espressioni che mostrano un operatore che ‘manipola’ il suo paziente, come nell’osteopatia classica. Notiamo ugualmente che le referenze anatomiche sono molto presenti in questo approccio, anche se riguardano sopratutto il cranio ed il bacino.

All’estremo opposto dello spettro troviamo le forme di osteopatia nate da Rollin Becker, ma che possono essere collegate all’opera di WG Sutherland nell’ultima parte della sua vita. L’osteopata pone le mani sul paziente e queste poi non si muovono; almeno agli occhi di un osservatore esterno. Il tempo diagnostico e il tempo terapeutico si confondono in un solo atto. Si ascolta trattando, si tratta ascoltando. La descrizione di ciò che si percepisce non si esprime in termini biomeccanici classici. Si parla di luce liquida o di maree e non più di flessione o estensione. I riferimenti anatomici si fanno sfocati: non si tratta il tal legamento o viscere specifico ma il contesto generale. Le spiegazioni fisiologiche sono ugualmente molto globali: l’osteopata palpa dei ‘campi bio-elettrici’ animati da dei ritmi, che sono l’ambiente nel quale i tessuti si bagnano. Si cercano le leve, i punti di appoggio o fulcri che permettano di ristabilire l’equilibrio in questi campi tissulari e, pertanto, ristabiliscono il buon funzionamento dei tessuti. I riferimenti alla fisiologia sono anch’essi piuttosto lontani, tali che si ricorre più spesso a spiegazioni filosofiche, a volte persino esoteriche, piuttosto che biologiche.

Siete osteopati anche voi?

Compariamo allora i due estremi dell’osteopatia. Immaginiamo il nostro paziente che arriva, piegato in due dal dolore, con una sciatalgia. Ha due percorsi osteopatici davanti a lui, forniti da osteopati che hanno lo stesso diploma, la stessa targa davanti alla porta, le stesse referenze nell’annuario professionale. Da un lato uno che fa dello strutturale con i suoi test di mobilità della colonna, poi decide di manipolare una lesione in estensione, rotazione, flessione laterale della terza vertebra cervicale. Muove le sue mani ed i tessuti. Dall’altro lato abbiamo un partigiano dell’osteopatia ultra-funzionale, che pone le sue mani sul paziente e poi le toglie, dopo circa mezz’ora, senza aver mosso nulla, soddisfatto del fatto che l’equilibrio tessutale globale sia stato ripristinato. Spesso, e diversamente dall’osteopata-che-manipola, attribuirà poco valore al miglioramento immediato dello stato del paziente: l’equilibrio ritrovato farà il suo lavoro nei giorni a venire.

Può sorprendere il fatto che due praticanti così lontani nella loro pratica e nei loro principi e nella loro pratica abbiano lo stesso titolo.

Ricordiamo brevemente. Queste differenze risalgono al fondatore, A.T Still. Intorno al 1870 ebbe l’intuizione dei principi e della tecnica osteopatica ‘mescolando’ due sorgenti storiche distinte, che rappresentano le due esperienze cliniche che lui ha vissuto: da un lato abbiamo gli aggiustaossa tradizionali e dall’altro il magnetismo ereditato da F.A. Mesmer. Quindi da un lato la tecnica degli aggiustossa che, manipolando l’anatomia, raddrizzano e mobilizzano le strutture corporee, dall’altro lato il magnetizzatore che manipola il ‘principio vitale’ o ‘fluido vitale’, riequilibrando le funzioni del corpo. Still aveva potuto apprendere questi due approcci in un’epoca in cui erano molto diffusi nel suo entourage. La fusione che è avvenuta in lui, ha lasciato il posto ad una scissione nei suoi allievi. Alcuni di essi percorsero la strada degli aggiustossa, facendo nascere l’osteopatia strutturale, con Harrison H. Fryette come archetipo. Altri ripresero il magnetismo, che produrrà l’osteopatia cranio-sacrale, e più in generale gli osteopati dell’ascolto tissulare che, tecnicamente, riprendono l’arte dell’imposizione delle mani…. Capiamoci bene, gli uni e gli altri avranno dei principi comuni, cioè quelli dati da Still, in maniera tale che il rispetto per l’anatomia e la credenza in un principio vitale che scorre in seno alla meccanica umana, che differenzia gli osteopati dagli aggiustaossa o dai magnetizzatori classici.

Storicamente le tecniche osteopatiche rappresentano una ‘fusione’ tra il magnetismo e gli aggiustasse. Sono i due titoli che portava AT Still prima di farsi chiamare ‘osteopata’. L’aggiustaossa manipola le strutture, il magnetizzatore le funzioni.

Storicamente le tecniche osteopatiche rappresentano una ‘fusione’ tra il magnetismo e gli aggiustasse. Sono i due titoli che portava AT Still prima di farsi chiamare ‘osteopata’. L’aggiustaossa manipola le strutture, il magnetizzatore le funzioni.

Lasceremo per il momento a parte l’osteopatia strutturale e il tipo di mobilizzazioni che descrive o utilizza nella diagnosi e trattamento dei tessuti. Allo stesso modo non discuteremo della parte più ‘strutturale’ dell’osteopatia craniale, dato che utilizza una biomeccanica ed una tecnica per molti aspetti simile allo strutturale, con la differenza che le mobilizzazioni sono minime [1].
Il nostro proposito ora è di analizzare l’altro polo dell’osteopatia, quello che descrive dei movimenti ‘spontanei’ ed ‘involontari’ nei tessuti, movimenti che è sufficiente percepire per essere terapeutici. F.A. Mesmer, nostro antenato diretto per quanto riguarda questi approcci, ci apre la strada sulla natura di questa motilità spontanea del vivente. Lui considera l’universo come riempito da un Fluido che non lascia alcun spazio privo della sua presenza. I nostri corpi di ‘inzuppano’ in questo Fluido come del resto tutte le altre cose. Una delle proprietà di questo Fluido è di essere animato da ‘fluttuazioni’ spontanee che seguono ritmi differenti. Mesmer li chiamava ‘flusso’ e ‘reflusso’, come le ‘maree’, un termine che verrà ripreso da Sutherland nella parte successiva della sua opera. Il mesmerismo consisteva nel trattare attraverso l’imposizione delle mani, a distanza o a contatto con il paziente, percependo questo fluido e normalizzando i suoi ritmi ed il suo flusso attraverso il corpo. Still, durante il suo primo trasferimento a Kirksville, si definiva ‘mesmerista’, quando già aveva concepito nella sua mente i principi dell’osteopatia. Quando più tardi gli si chiederà: che differenza c’è tra il mesmerismo e la sua osteopatia? Lui risponderà: dell’anatomia e ancora dell’anatomia! Detto diversamente, l’osteopatia possiede gli stessi principi e la stessa tecnica del magnetismo ma, a differenza della globalità dei magnetizzatori, l’osteopata scolpisce ed ausculta l’anatomia nel Fluido.
Laddove il magnetizzatore si accontenta di percepire dei flussi, dei nodi, Still percepisce delle articolazioni, dei muscoli o delle fasce tese. Il Fluido ha preso, con il nostro fondatore, lo spessore e la solidità dell’anatomia. Questa solidità dei tessuti però non deve farci dimenticare che i nostri organi sono creati a partire dal Fluido, e come tali, ‘pulsano’…

Il Movimento Respiratorio Primario dello Spazio

Una seria discussione sulla natura dei movimenti spontanei che percepiamo nei tessuti dovrà, per prima cosa, prendere in considerazione questa dimensione storica: siamo nati da una scuola di pensiero, ereditata da una lunga tradizione, precedente a Mesmer, che crede che tutto il Reale è pieno di una sostanza che pulsa. Alberi, pietre, cranio, stomaco, o semplicemente tutto lo spazio tra le nostre mani, tutto è animato da dei ritmi. Prima di andare alla ricerca delle ‘ragioni’ fisiologiche, dei meccanismi cellulari o tissulari che ci possano spiegare questi movimenti, dobbiamo evocare l’esistenza dei ritmi spontanei percepiti dagli osteopati sul corpo, non osservabili da ‘strumenti classici’, che sono semplicemente delle ‘fluttuazioni’ del Fluido che riempie l’universo, Fluido del quale noi facciamo parte. Sono queste delle credenze del passato? No, affatto… Nei giorni nostri non parliamo più di Fluido, ma del Vuoto Quantico o del Virtuale. La fisica quantistica, dopo Dirac, lo descrive come la sostanza che riempie l’universo, e dunque il Reale, il nostro Reale, è un’espressione locale. Questo etere, per riprendere uno dei suoi nomi antichi, possiede una potenza fenomenale alla scala quantistica ed è animato costantemente da fluttuazioni.

casimir effect

‘L’effetto Casimir’, dal nome di Hendrik Casimir, fu predetto nel 1948. Paul Dirac negli anni ’30 ipotizzò l’esistenza di una ‘energia/materia negativa’, simmetrica della nostra ‘energia/materia positiva’. Casimir propose l’esperimento che permise di metterla in evidenza. Nel corso degli anni ’70, fino ad oggi, diversi esperimenti confermano questo modello. Esiste una ‘potenza del vuoto’. Due placche messe di fronte, in un ambiente totalmente senza materia/energia reali, si avvicinano a causa della pressione della materia/energia virtuale presente nello spazio. Il vuoto quantico è quindi tutto fuorché vuoto. Come il Fluido di Mesmer, questa materia/energia virtuale riempie l’universo e ‘pulsa’ spontaneamente… L’osteopatia forse realizza un effetto Casimir con le due mani?

Un vuoto… molto Pieno

I tempi sono cambiati, il vocabolario anche, ma l’osservazione rimane identica. Il Fluido Universale che pulsa ha lasciato il posto al Vuoto Quantico che fluttua. Non andremo oltre in questa spiegazione dato che l’abbiamo esplorata in un articolo precedente (vedi articolo sul Site de l’Ostéopathie: Ostéopathie Energétique).

Le fluttuazioni del Vuoto nel quale operiamo formano dunque un quadro generale già conosciuto con la percezione dei movimenti spontanei o involontari nei tessuti viventi. Prima di parlare di questo liquido, dei suoi effetti fisiologici, della mobilità persistente o meno delle ossa del cranio, occorre ricordarci che tutto pulsa, in particolare modo ad un ritmo dai 6 ai 10 cicli per minuto, ma anche con altri ritmi, più rapidi e più lenti.

Il nostro cranio, come il resto del corpo, pulsa ad un ritmo tipico di tutta la Natura, all’unisono con tutto ciò che essa contiene. Ma come mai non possiamo mai misurarlo direttamente? Solo gli osteopati ne parlano! La risposta è semplice: il Vuoto Quantico è ‘virtuale’, è dunque costituito da una materia che le nostre apparecchiature cosiddette ‘reali’ non possono misurare.

Mi sembra abbastanza chiaro che il giorno in cui ci approcceremo ai ritmi craniosacrali come se fossero ‘anche’ degli effetti ‘virtuali’, la loro ‘misurazione’ non porrà alcun problema. Sarà evidente.

Questa evidenza è immediata per coloro i quali praticano questi approcci. Sentiamo qualcosa in maniera innegabile. Si potrebbe anche andare molto lontano nella sottigliezza di queste percezioni. A titolo personale, ad esempio, pratico già da tempo un’osteopatia ‘a distanza’, senza un contatto manuale diretto. Si ‘manipolano’ la colonna vertebrale o i visceri con le proprie mani al di fuori del paziente. Still, secondo le testimonianze dell’epoca, in certe occasioni eseguiva trattamenti in questa maniera. Quando si lavora così le pulsazioni tra le mani sono molto chiare, evidenti come quelle percepite toccando il paziente. È quindi possibile percepire flessione e estensione di un osso sacro virtuale del paziente, la rotazione del suo stomaco virtuale, ecc…

Questo aspetto virtuale delle nostre sensazioni non è tuttavia sufficiente per esaurire la descrizione della nostra esperienza clinica. Si può sentire a distanza, con il nostro ‘pensiero’, ma si può ugualmente sentire posando le mani, e si sentiranno le cose in maniera differente. Dal virtuale più sottile al reale più materiale, i livelli di percezione sono i più vari. Spetta a noi imparare a classificarli, a conoscere le loro specificità, le indicazioni o le controindicazioni.
Due grandi mobilità – ben conosciute e reali – muovono i nostri tessuti, ma non ce ne occuperemo in questa sede: la pulsazione cardiovascolare e quella respiratoria. Tutto il corpo vibra con questi due sistemi di pompaggio. Il loro effetto è incontestabile dal punto di vista meccanico, e noi non insisteremo su questo. Ciò che ci concerne qui, è l’insieme delle altre mobilità, dette spontanee o involontarie, che si situano alle frontiere del virtuale e del reale. A volte si sentono, altre volte no. Alcuni ci credono, altri no. Questi movimenti sono al centro della pratica degli osteopati cosiddetti dell’ascolto tissulare. Ma cosa sentono? La più classica delle percezioni è quella di un ritmo di 6-8 cicli/min, detto MRP. Avrebbe come effetto quello di ‘gonfiare/sgonfiare’ i tessuti, ma anche di creare dei movimenti di flessione/estensione e rotazione esterna/interna. Altri osteopati parlano di un ritmo più lento, di 1 o 2 cicli/min, detto ‘marea’, o di una frequenza ancora più lenta di uno o due cicli ogni ora.

L’MRP: non sempre si sente!

Che dire sulla sua origine? La tradizione osteopatica considera questa motilità come di origine centrale: sarebbe dovuta ai cicli di riassorbimento del liquido cefalorachidiano nel cranio, che creano delle onde di pressione che si ripercuotono in tutta la periferia. Si parla anche di una contrattilità della sostanza cerebrale o dei tessuti meningi. Queste spiegazioni ‘scientifiche’, formulate da Sutherland nel periodo tra le due guerre, riprese in seguito da Magoun, non son affatto chiare. Ho parlato personalmente di ‘contrattilità’ o di ‘maree’ come fecero i miei maestri, e resta comunque utile. È in effetti ciò che si sente, ma a noi ora spetta il compito di spiegarlo con un linguaggio più moderno.

In seguito alla formulazione di questo iniziale modello, nessuna ricerca ha potuto provare l’esistenza di un tale ritmo universale, oggettivo, che origina nel cranio. Si è cercato di osservarlo direttamente, oggettivamente, ma senza alcun successo. Esistono certamente delle fluttuazioni spontanee, di una frequenza simile all’MRP (circa 0,1 hz), ma sembrano sopratutto legate a delle pulsazioni vascolari [2] che ritroviamo nel corpo, senza che si possa dire che ci sia un comando centrale nel cervello.

Abbiamo cercato di misurare l’MRP soggettivamente, ma anche qui senza successo. Per esempio, abbiamo messo più operatori sullo stesso paziente, in posizioni diverse, ed abbiamo annotato il ritmo che ciascuno di loro percepiva (senza che nessuno di loro sapesse cosa sentiva l’altro). Il risultato è senza appello: non tutti sentivano lo stesso ritmo. Alcuni sentivano una fase di flessione mentre altri un’estensione, e con frequenze differenti [3] (vedi in bibliografia la revisione di questi tentativi di Ferguson A., e la critica che ne fa Mc. Grath). La difficoltà nell’oggettivare questi ritmi crea immense difficoltà pedagogiche per gli studenti di osteopatia, spesso con l’impressione da parte loro che questa cosa ‘non esiste’ o che ‘sono incapaci’ di sentirla. Non è solo un problema pedagogico: tutta una frangia della professione osteopatica – tra cui dei diplomati di lunga data – continua ad affermare fortemente che l’MRP è un’illusione, che tutt’al più si possono percepire le conseguenze meccaniche della respirazione toracica sul resto del corpo, compresa la sfera craniale. Gli effetti benefici di queste manipolazioni sarebbero allora dovuti esclusivamente ad un effetto placebo, ad un rilassamento dei muscoli pericranici, o ancora a riflessi cutanei presenti in questa regione, ecc… Mi viene in mente quando negli anni ’70, quindi nei primi anni del craniale in Francia, gli ‘strutturalisti’ ci chiamavano ‘sciampisti’! In breve, per questi praticanti, le nostre discussioni su ritmi e movimenti spontanei ed involontari sono vane…
Tuttavia, per chi utilizza queste tecniche, le sensazioni ritmiche sono spesso delle esperienze soggettive innegabili che nessuna critica oggettiva può invalidare. Non sempre, ma abbastanza spesso, per dare certezze personali… andate a dire ad un pazzo che è pazzo… e ad un osteopata craniale che non sente nulla! È vero che certe volte si sente meglio, in certi giorni e su certi pazienti, ma è altrettanto vero che altre volte non si sente nulla. Ma, quando sono chiare, le sensazioni sono maestose. All’opposto, bisogna notare che si può anche ‘sentire ciò che si vuole sentire’, sarebbe a dire, letteralmente ‘indurre’ dei movimenti senza muovere le mani. Mi sono già espresso sulla fisica che potrebbe spiegare questa soggettività radicale [4]. Ci tornerò su brevemente più avanti in questo testo. Ciò che ci interessa maggiormente ora sono i movimenti suscettibili di provenire dal paziente, e non quelli indotti deliberatamente dal praticante. Quale può essere la fisiologia dietro a queste pulsazioni cosiddette «spontanee»?

Per fare questo proporrei di trattare la questione in tre tempi. Per prima cosa vorrei distinguere i movimenti che appartengono alla sensazione di ‘gonfiamento/sgonfiamento’ ritmico dei tessuti. Per secondi i movimenti che sembrano fare muovere i tessuti attorno a degli assi articolari: rotazione, torsione, flessione, ecc… Infine i movimenti che non hanno alcun asse specifico, che definirei asimmetrici, che attraversano dei lungi tragitti, incorporando articolazioni e visceri. Anche se queste distinzioni sono artificiali e gli stessi meccanismi possono spiegare i tre tipi di movimento, mi sembra imperativo fare queste distinzioni, se non altro dal punto di vista pedagogico. Una volta descritte queste mobilità, tenteremo di comprendere il perché ascoltarle o seguirle possieda un effetto terapeutico.

I movimenti di gonfiamento/sgonfiamento

Dovunque poniamo le mani sul corpo si possono percepire questi tipi di movimenti. Il diametro della coscia, ad esempio, aumenta e poi diminuisce ritmicamente. Lasciamo da parte le difficoltà palpatorie ed anche il fatto che diversi operatori non lo sentono in maniera sincrona. Questo movimento, a volte apparentemente assente, può a volte essere estremamente chiaro, al di la’ di ogni soggettivo dubbio possibile. Quale meccanismo fisiologico può essere in grado di spiegarlo? Una prima spiegazione mi sembra logica: un meccanismo liquido, un aumento/diminuzione locale dei fluidi i dei compartimenti fluidici, descrive bene la nostra esperienza. Un’altra spiegazione possibile, da non escludere, è una contrazione/rilassamento dei tessuti.

La fisiologia cardiovascolare fornisce un primo quadro di risposte appropriate alle nostre sensazioni con ciò che chiamiamo 1) le onde THM o onde di Traube-Herring-Mayer e 2) le onde prodotte dalla vasomotilità, onde che incontriamo nella letteratura medica sotto il nome di ‘onde C’ (per differenziarle dalle onde A e B, tipiche del contenuto craniale) o ancora, nella letteratura anglosassone, ‘LF waves’ e ‘VLF waves’ (onde di bassa frequenza o frequenza molto bassa). Queste onde si situano nell’intervallo di frequenza di 0.1 hz, con cicli da 6 a 10 per minuto, corrispondenti all’MRP (Movimento Respiratorio Primario degli osteopati craniali).

Le ali del pipistrello sono relativamente trasparenti e permettono di vedere i vasi sanguigni, arterie e vene. Oltre all’impulso cardiaco si vede come i vasi vengono coinvolti da ondate di contrazioni . Queste prime osservazioni sono state all’origine della scoperta delle onde THM nell’umano.

Cosa rappresentano? La prima osservazione di queste onde risale al XIX° secolo, dove vennero osservate per la prima volta nelle ali di pipistrello. Si può vedere come effettivamente oltre alla pulsazione sistolica/diastolica dovuta al cuore, le arterie/vene pulsano sotto l’effetto di movimenti presenti in tutta la loro lunghezza. Questi movimenti vascolari verranno chiamati ‘vasomotricità’. Si possono osservare nelle vene, così come nelle arterie, e sono molto evidenti nel sistema linfatico. Le distinzioni tra i differenti movimenti che coinvolgono i nostri vasi sono molto complesse. Si possono distinguere le variazioni nel tono vascolare dovute a variazioni nel flusso dell’innervaizone di questi vasi. Sono queste, in senso stretto, le onde THM. Vengono differenziate dalle contrazioni vascolari spontanee, indipendenti dall’innervazione, che sono le onde della vasomotricità. Sono queste onde meno costanti ed appaiono più frequentemente in caso di ischemia.

Il significato di queste diverse onde, THM e vasomotrici, è ancora poco chiaro. La loro alterazione in determinate patologie (tipo diabete e ipertensione) e delle considerazioni rilevanti in campo biofisico, portano a pensare che giochino un ruolo importante nella qualità della perfusione dei tessuti, dunque della loro ossigenazione. Un letto vascolare animato da oscillazioni, per la stessa pressione di perfusione, assicura una migliore ripartizione dell’ossigenazione [5] (vedi bibliografia).

Gli osteopati percepiscono queste onde? Possiamo pensare che se sono percepibili possono anche causare un semplice ‘gonfiamento/sgonfiamento’ dei tessuti, cosa che possiamo abbastanza facilmente sentire [6]. Queste onde, dopotutto, sono dei fenomeni con cause piuttosto reali. Considerare la vasomotilità o le onde THM come facenti parte di ciò che chiamiamo MRP è quindi plausibile. Spiegherebbe, in particolare, perché si sentono questi movimenti meglio su certi soggetti piuttosto che in altri, e che differenti operatori percepiscono ritmi differenti, o che lo stesso operatore possa percepire un ritmo ad un livello ed un altro ritmo ad un livello più basso. La vasomotilità, così come le onde THM, possono in effetti variare da un tessuto all’altro, in frequenza ed intensità. Ma a volte, come può accadere con le onde THM, si può percepire lo stesso ritmo dappertutto. Le sensazioni di movimenti molto lenti (le ‘maree’ descritte da alcuni osteopati) potrebbero essere anche la percezione di frequenze più basse di queste onde vasculo-tissulari.

Tra il gonfiamento e lo sgonfiamento

Ammettiamo che queste onde vasomotrici fanno parte di ciò che chiamiamo ‘ritmi involontari’, come l’MRP. Ammettiamo anche che una persona allenata, quindi un osteopata, sia in grado di percepirle, cosa non impossibile da prevedere. Identificare le onde THM o vasomotrici con l’MRP sarebbe tuttavia riduttivo, dunque insufficiente per spiegare la nostra esperienza dei tessuti viventi. Per due ragioni principali: la prima, l’osteopata non sente solo dei movimenti di gonfiamento/sgonfiamento, ma anche altri tipi di mobilità di cui discuteremo più avanti. Secondo, gli osteopati affermano di ‘trattareascoltando queste variazioni di volume tissulare. Ora, come i medici non trattano malattie cardiache prendendo il polso, gli osteopati non trattano semplicemente seguendo passivamente le onde vasomotrici. Occorre un po’ più di questo: cercano di modulare questi ritmi. Questa nozione di ‘modulazione’ permette di comprendere come si può trasformare l’ascolto di un ritmo in un trattamento.

Prendiamo un esempio conosciuto: la tecnica detta di ‘compressione del 4° ventricolo’, tecnica che, stando al suo principio, si può effettuare su tutto il corpo. Si dovrebbe seguire un ritmo, l’MRP, ma non ci si accontenta di seguirlo passivamente. Si ascolta interferendo un poco perché andiamo a favorire una delle fasi del ritmo fino ad un punto di silenzio, lo ‘still point’. Con questo tipo di ascolto attivo, gli osteopati affermano di modificare i ritmi vascolari di bassa frequenza. Molti tra noi hanno avuto un’esperienza soggettiva, e i supporti sperimentali che potrebbero avvalorare questa affermazione non sono difficili da prevedere. Ricordiamo che questi ritmi – per le onde THM – sono controllati dal SNA (sistema nervoso autonomo) e sono notoriamente variabili. L’osteopata con queste tecniche ha un triplice effetto: neurologico, dato che tocca e stimola, meccanico, dato che mobilizza i tessuti, e vascolare, dato che mobilizza dei liquidi. Favorendo l’una o l’altra fase di uno dei ritmi tissulari, gonfiamento o sgonfiamento, avrebbe allora un effetto sul controllo centrale e sul volume locale. Possiamo supporre che in qualche ciclo la resistenza che noi esercitiamo provoca una riorganizzazione, tanto a livello meccanico, attraverso le afferenze neurologiche, che a livello del volume dei liquidi. Secondo la tradizione nel giro di qualche ciclo si ottiene un ‘silenzio vasomotorio’ che noi chiamiamo ‘still point’, che indica questa riorganizzazione. Poi il ritmo riparte, con un’ampiezza, un’intensità ed una frequenza differenti, dando risultati clinici immediati nella qualità della perfusione e quindi nel benessere. Questa variabilità nell’intensità o nella frequenza, così come questi ‘silenzi tissulari’ che osserviamo, sono abbastanza caratteristici delle onde THM o vasomotrici, che ci sia o meno un osteopata. Basta pensare che l’osteopata, con il suo tocco istruito, sia capace di modificarli e questo in futuro non sarà difficile da oggettivare.

Attendere le maree

La prima ipotesi viene sintetizzata così: i movimenti di dilatazione/contrazione periodici sentiti dagli osteopati in tutto il corpo sono probabilmente legati, almeno in parte, a delle dilatazioni/contrazioni dei vasi sanguigni e linfatici, sotto un controllo centrale (THM) e locale (onde vasomotrici). Si tratta dunque di modificazioni nel volume dell’insieme del contenente, cioè dell’insieme dei vasi.

Ricordiamo comunque che non dobbiamo dimenticare il contenuto, ovvero lo spazio che contiene i tessuti, i vasi ed i liquidi. Come abbiamo visto prima, questo spazio nel quale noi ci evolviamo pulsa lui stesso a ritmi differenti, facendo quindi pulsare tutta la sostanza che contiene, in questo caso quindi anche i liquidi biologici ed i loro vasi. Questa pulsazione del Virtuale o Vuoto Quantico, come viene chiamato ai giorni nostri, ricorda il ‘Fluido fluttuante’ di Mesmer. Questa pulsazione dilata e contrae le matrici di tutti i tessuti, del citoplasma, della matrice extracellulare, i liquidi nei vasi ecc… Comprendiamo allora meglio l’espressione ‘maree’ utilizzata dagli osteopati ispirati dal periodo più recente di Sutherland, così come da Rollin Becker e dai suoi allievi. Come le maree dei nostri oceani queste fluttuazioni spingono tutta la materia del nostro corpo in flussi e reflussi costanti. Ciò che noi sentiamo nei tessuti è dunque composto da una serie intrecciata di ritmi, che vanno dal più virtuale, il Fluido, ad una scala reale, quella delle onde THM e vasomotrici. Questo riproduce la nostra esperienza clinica, che va dalle sensazioni che sembrano molto reali – probabilmente dovute alle onde vasomotrici – a percezioni più virtuali che variano profondamente con la nostra maniera di pensare. Ritorneremo più avanti su questo ‘mix’ di percezioni reali e virtuali che caratterizza la nostra relazione con i tessuti viventi…

Si indurisce o si sgonfia?

Le percezioni di dilatazione/contrazione dei tessuti sono maestose quando avvengono, ma lasciamole ora da parte, in quanto, come abbiamo già detto, non riassumono l’esperienza osteopatica del tocco. C’è un’altra famiglia di sensazioni, che somigliano molto più ad una contrazione/rilassamento dei tessuti piuttosto che ad un rigonfiamento/sgonfiamento. Possiamo farne esperienza direttamente ponendo le mani ai lati della nostra coscia. Una diminuzione del diametro potrebbe derivare da una contrazione della massa dei tessuti tra le nostre mani, o da uno sgonfiamento della stessa massa. Al contrario, un rigonfiamento avrebbe lo stesso effetto di un rilassamento, dato che in entrambi i casi il volume dei tessuti aumenterebbe tra le nostre mani. Lo stesso risultato geometrico, naturalmente, ma una netta differenza dal punto di vista della palpazione: da un lato abbiamo un fenomeno attivo (una contrazione, e dunque una sensazione di indurimento dei tessuti), dall’altro lato abbiamo un fenomeno passivo (uno sgonfiamento, e dunque un rammollimento dei tessuti).

Ciò che possiamo definire percezione di un ‘movimento attivo’ ci da’ l’impressione che i ‘tessuti’ si muovano. Vuoi nel senso di una variazione dei diametri, ma anche in ogni direzione dello spazio. Non possiamo più parlare solo di ‘rigonfiamento’ o ‘sgonfiamento’, ma anche di ‘traslazione’, ‘rotazione’, ‘torsione’ ecc…

Mi sembra allora evidente che le onde THM o vasomotrici non siano sufficienti a spiegare questo tipo di movimento, per quanto innegabilmente esse vi partecipino. La mobilità e la motilità si inseriscono l’una nell’altra. Una fase di rigonfiamento ad una scala si sovrappone ad una rotazione, ad un’altra scala ad una lateralizzazione, ancora ad un’altra scala ancora più globale si sovrappone ad una marea che sale.
A noi spettano i dettagli.

Note

  1. Questa scuola ‘biomeccanica’ del cranio ha trovato i suoi continuatori in Francia. Vedi i video su internet di Gilles Boudehen. Fanno riferimento alla scuola eziopatica, e viene negata l’esistenza dei movimenti spontanei del sistema nervoso centrale, delle meningi ecc… Le ossa del cranio preservano una certa mobilità puramente articolare.
  2. Troviamo questa stessa frequenza i un’ecografia dei flussi arteriosi ma anche nel consumo di ossigeno da parte dei tessuti cerebrali (con fMRI, risonanza magnetica funzionale). Immaginiamo difficilmente come un tale fenomeno ‘liquido’ possa, a partire dal cranio, mettere in rotazione esterna le tibie o i gomiti ad un ritmo di 6-12 cicli/min. Per mobilizzare ritmicamente e simultaneamente le nostre articolazioni periferiche occorrerebbe una forza meccanica, capace di flettere, mettere in rotazione ecc… Anche se è in realtà ciò che si sente. Solo il muscolo striato possiede questa capacità di ‘muovere’ le articolazioni. Si potrebbe allora immaginare che esiste nel cranio una pulsazione di 0.1 hz che si esprime localmente, in maniera vascolare, ma anche con dei movimenti periferici dovuti a delle contrazioni/rilassamento spontanei di tutti i nostri muscoli striati. Hervé Julien, osteopata, pensa che questa ‘motilità muscolare’ possa spiegare meglio quello che sentono le nostre mani piuttosto che la spiegazione dell’MRP puramente liquido e centrato sul cranio. Questo ritmo viene chiamato ‘Motilità Muscolare Permanente’. Da un punto di vista fisiologico, il ritmo a 0.1 hz si trova ovunque nel corpo. Viene solitamente classificato tra gli effetti THM (vedi sopra). Possiamo ipotizzare che il cervello sia il direttore d’orchestra? I fondatori dell’osteopatia craniale non avrebbero dunque del tutto torto. C’è un ritmo ovunque nel corpo, ma questo ritmo avrebbe il suo controllo centrale nel cervello.
  3. Vedi A. Ferguson per una review dettagliata (A review of the physiology of cranial osteopathy, Journal of Osteopathic Medicine, 2003Â ; 6 (2)Â : 74-88). Alla fine dell’articolo, c’è una critica redatta dal Mc Grath il quale mostra come il concetto di movimento spontaneo o ritmo cranio-sacrale è considerato come un’illusione anche all’interno della professione osteopatica. Il concetto di ‘entrainment’ è stato formulato in: Mac Partland J Mein E, Altern Ther Health Med Entrainment and the CRI, 1997 ; 3 : 40-45 come spiegazione dell’effetto terapeutico di un ascolto attivo dell’MRP.
  4. Site de l’Ostéopathie: Ènergetique? De quelle énergie s’agit-il?
  5. Per il significato fisiologico della vasomotilità vedi: Nilsson H and Aalkjaer C, Vasomotion: Mechanisms and Physiological Importance Mol Int March 2003 vol. 3 no. 2 : 79-89
  6. Vedi gli articoli di Nicette Sergueef sul soggetto. In particolare: Cranial rhythmic impulse related to the Traube-Hering-Mayer oscillation: comparing laser-Doppler flowmetry and palpation KENNETH E. NELSON, DO; NICETTE SERGUEEF; CELIA M. LIPINSKI, MSII; ARINA R. CHAPMAN, MSII; THOMAS GLONEK, PhD